Intercettati segnali misteriosi provenienti dallo spazio profondo e lontani 8 miliardi di anni luce

Notizie

radiosegnaliufo

Alcuni telescopi hanno intercettato segnali provenienti da misteriose sorgenti nelle profondità del cosmo.  Non si tratterebbe di civiltà extra-terresti ma di stelle di neutroni o buchi neri. I fan del progetto SETI, sulla ricerca di alieni nello spazio, sognano il “contatto”.

Segnali radio provenienti da misteriose sorgenti nelle profondità del cosmo accendono in questi giorni la fantasia del grande pubblico, se non degli scienziati. I segnali, potenti e rapidissimi, della durata di pochi millisecondi, sono stati intercettati dai telescopi di un gruppo di ricerca internazionale di cui fa parte anche l’Italia. Sono fenomeni tutt’altro che rari, spiega Nicolò D’Amico, responsabile del Sardinia Radio Telescope che partecipa al gruppo di ricerca. La caratteristica straordinaria dei segnali appena intercettati è però la distanza da cui provengono: otto miliardi di anni luce. Il loro viaggio nello spazio è iniziato quando l’universo aveva poco più della metà dell’età attuale e il Sistema Solare non esisteva ancora. I ricercatori non sono in grado di determinare le cause esatte di queste emissioni radio. Secondo le prime ipotesi, osserva D’Amico, le possibili sorgenti «potrebbero essere stelle di neutroni o anche buchi neri, oggetti in cui la materia si trova in condizioni estreme. C’è ancora molto lavoro da fare, però, prima di capire esattamente come si generano». Non si tratterebbe quindi di segnali inviati da una civiltà extraterrestre come quelli che il Progetto Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence: Ricerca di Intelligenza Extraterrestre) insegue dal 1974. Non è un’impresa facile: la nostra sola galassia, quella che chiamiamo Via Lattea, misura 100.000 anni luce, e contiene trecento miliardi di stelle. Scandagliare con successo uno spazio simile alla ricerca di un segnale radio presumibilmente distante e debole è praticamente impossibile. I ricercatori hanno dovuto elaborare tutta una serie di strategie per ridurre il campo di ricerca alle stelle che per svariati fattori hanno più probabilità di ospitare in orbita attorno a sé un pianeta abitabile. Una volta ristretto il campo delle stelle da tenere sotto controllo, si presentano altri problemi, come quello del rumore di fondo del cosmo, del tipo di segnale da cercare (non abbiamo idea di come possa essere modulato un segnale extraterrestre) e infine della frequenza su cui sintonizzare il ricevitore. Per quest’ultimo aspetto cruciale il progetto Seti si è basato su un articolo scritto nel 1959 dai fisici Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, che ipotizzarono quali fossero le frequenze di trasmissione più adatte alle comunicazioni interstellari. I due scienziati ritenevano particolarmente promettente la frequenza di 1,420 gigahertz: quella emessa dall’idrogeno neutro. È lì che un segnale extraterrestre avrebbe avuto, secondo loro, le maggiori probabilità di trovarsi. I fan del progetto Seti chiamano questa frequenza watering hole: il posto dell’abbeverata, quello dove gli animali si radunano per bere. Seti è stato, e per molti è ancora, uno dei grandi sogni dell’umanità. Notevole fu l’emozione quando nel 1974 un messaggio in codice di 1.679 bit venne trasmesso verso l’ammasso globulare M13, distante da noi 25.000 anni luce. Il messaggio, che visto oggi sembra una schermata di un vecchio giochino elettronico come Space Invaders, conteneva le informazioni di base sulla Terra e sulla razza umana, tanto che alcuni parlarono di una pericolosa divulgazione di dati a un potenziale nemico. La fantasia degli scrittori di fantascienza si è scatenata su questo argomento. L’esito più popolare, sinora, è «Contact» di Carl Sagan, che fu uno dei padri fondatori del progetto Seti. Il momento clou del libro, da cui fu tratto un film con Jodie Foster, è quello in cui il segnale alieno intercettato dai radiotelescopi viene decifrato e si rivela essere un filmato di Hitler che inaugura i giochi olimpici di Berlino, nel 1936: una delle prime trasmissioni televisive, che gli extraterrestri di Sagan hanno captato e ritrasmesso sulla Terra… L’intuizione più visionaria l’ha avuta Frank Herbert, il padre del ciclo di Dune, che in due romanzi minori descrisse i «Calebani», intelligenze aliene che vivono in un’altra dimensione e che nel nostro universo vengono percepiti come stelle. Il fatto è che, malgrado le delusioni, continuiamo a nutrire la speranza di non essere soli nell’universo. In queste sere d’estate capita a tutti, prima o poi, di alzare gli occhi al cielo e di dirsi che una simile meraviglia non può essere lì per così pochi spettatori; che da qualche parte nello spazio qualche altra creatura volge lo sguardo in alto con le stesse domande, la stessa voglia di un contatto. E poco importa se, come nel caso dei segnali appena intercettati, sono stati prodotti da una stella, e non da un alieno. È bello chiedersi se Herbert non avesse ragione, e se quei lampi di energia stellare non possano essere la voce di un Calebano che giunge a noi dagli abissi del passato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *