Primo maggio 2016, festa del lavoro. Una festa in cui c’è poco da festeggiare. Protagonisti la disoccupazione e la latitanza della lotta per la difesa dei lavoratori

C’è poco da festeggiare in questo 1° maggio 2016 con i lavoratori italiani ancora nel morso di una dura crisi che colpisce l’occupazione, il potere d’acquisto, i diritti, il welfare. Proprio alla vigilia della Festa del lavoro l’Istat indica un lieve calo della disoccupazione (a marzo scende all’11,4%), il livello più basso dal 2012, con il tasso di occupazione che sale di 0,2 punti al 56,7%. Chissà se è il primo passo per una marcata ripresa o il salito balletto dello zero virgola che nulla cambia. Cgil, Cisl, Uil non commentano e per questo 1° maggio ripropongono  l’armamentario di sempre dispiegando le bandiere sempre più logore in numerose manifestazioni caratterizzate dalla presenza dei pensionati e dall’assenza dei giovani.  A Genova i tre segretari generali Susanna Camusso, Annamaria Furlan, Carmelo Barbagallo rilanciano la parola d’ordine: “Più valore al lavoro. Contrattazione, occupazione, pensioni”, in sostanza una lista della spesa più che un grido di lotta, la burocratica riproposizione di un rito piuttosto che un appuntamento di verifica sullo stato del movimento e sul da farsi per uscire dall’angolo nel quale il sindacato e i lavoratori sono stati spinti dal padronato e dal governo. Intendiamoci, non mancano nel Paese iniziative di lotta (aziendali e di categoria) e proposte (come la carta dei diritti universali del lavoro promossa dalla Cgil): scioperi e proteste, raccolte di firme ecc. che però restano ai margini dell’interesse dell’opinione pubblica, non oltrepassano i confini delle singole vertenze, non incidono nei rapporti di forza sociali e politici, lasciando il sindacato nel suo dorato isolamento, pachiderma dai piedi d’argilla. Se, come è giusto che sia, il 1° maggio è anche giornata di festa, ecco che il Concertone romano di Piazza San Giovanni alla sua 26esima edizione, ne rappresenta il simbolo, un luogo dove ritrovare i giovani comunque sotto le bandiere dei sindacati. Ma, oltre lo show, qual è il messaggio che viene recepito, quale rapporto “reale” si sviluppa fra i giovani e il mondo del lavoro, fra i giovani e i sindacati? C’è un nesso culturale, una continuità sindacale e politica o tutto si esaurisce con il Concertone? Visti i risultati del passato c’è poco da stare allegri. Con i lavoratori che rischiano i diritti, il salario, il proprio posto, con una precarietà esistenziale e una emarginazione giovanile allarmanti anticamera di zone grigie culla di fanatismi di ogni tipo e colore, il 1° maggio non può che restare una giornata di riflessione e di lotta. Lotta contro quella parte del padronato che si illude di uscire dalla crisi colpendo salari e diritti o licenziando e delocalizzando e soprattutto lotta contro il governo Renzi, incapace di tirar fuori l’Italia dalla palude della crisi, non solo economica. Il quadro è oramai completo: le riforme già avviate e quelle in dirittura d’arrivo rendono sempre più precario l’equilibrio tra i poteri sanciti dalla Costituzione dando sempre più al capo del Governo il ruolo di “dominus” assoluto delle istituzioni e di tutto ciò che conta. In tal modo la tenaglia è oramai pronta a chiudersi: dalla fabbrica, alla società, alle istituzioni. Il tutto nell’ambito di una crisi mondiale dove i cosiddetti poteri forti (in primis il potere bancario e finanziario europeo e internazionale) dettano la linea ai governi colpendo lo stato sociale, i diritti, le pensioni, l’occupazione, i contratti nazionali, privatizzando ad uso e consumo di interessi particolari e non a favore di quelli generali. Cosa ha fatto e cosa fa la Cgil-Cisl-Uil (oltre 12 milioni di iscritti su 24 milioni di lavoratori italiani) per contrastare questo tifone capace di provocare uno tsunami? Non sono – per evidenti limiti politici e strutturali, una casta al pari di quella politica – essi stessi corresponsabili di questa deriva a danno dei lavoratori e del Paese? Certo, in una scala di valori, le colpe principali – anche della depressione politica e morale in atto – tralasciando il nefasto ventennio berlusconiano, sono della vecchia leadership della sinistra e oggi del Partito democratico con Renzi che sfrutta con abilità e arroganza la debolezza e l’inefficacia delle opposizioni sindacali e politiche. Non è così ovunque. Proprio lo scorso 28 aprile, dalla Francia, è giunta una possente risposta con la prima delle quattro giornate di lotta contro la “loi travail”, il jobs act di Hollande. E’ un’onda che può valicare le Alpi e scuotere l’Italia. Un messaggio per Cgil-Cisl-Uil, per alimentare e prendere in mano le redini del movimento indicando con chiarezza le controparti, cominciando un durissimo forcing contro Renzi e il suo governo, oberato da lobby, conflitti d’interesse, cordate di affaristi, amici ai vertici delle aziende pubbliche, deciso a produrre riforme che soffocano la democrazia. Il tempo stringe. La “questione sindacale”, storicamente centrale anche nel confronto politico, è oggi la grande assente, specie nel Pd, totalmente disinteressato a questi temi. Quando parlava Lama il Pci e la sinistra si interrogavano, l’Italia tratteneva il fiato e uno sciopero generale mandava ko premier e governi ben più rappresentativi e più forti di questo.  Chi si accorgerà del discorso che la Camusso terrà a Genova il 1° maggio? Un brutto segnale, specie quando avanzano tentazioni pansindacaliste, (come nella Fiom), per cambiar giubba al sindacato, travestirlo da partito. O quando, come in settori di Cisl e Uil e in altri sindacati “minori”, si vuol togliere alle categorie il “laccio” delle confederazioni, per favorire nicchie, movimentismo, corporativismo, per preservare oligarchie. I partiti, per lo più ridotti a centri di potere, comitati affaristici ed elettorali, delegano a Cgil-Cisl-Uil e ad altre impronunciabili sigle le questioni del lavoro. Tiene banco il “do ut des”. Il sindacato ha poche idee ma molti iscritti, cioè voti. Per cui è corteggiato dai partiti, o meglio, dai cacicchi, dai capi bastone, ma solo in periodi elettorali. Temporali all’orizzonte. Anzi tempeste. Il problema vero è la mancanza di una reale e credibile proposta autonoma del sindacato, un Piano di risanamento e di rilancio non solo dell’economia, la capacità di parlare al Paese tutto, a difesa dell’Italia, non solo dei propri iscritti. Il nodo è la partecipazione, la rappresentatività e la democrazia sindacale, ridotte per lo più a un simulacro. Per timore della “rottamazione” si cancella la memoria storica perdendo bussola e speranze. Di questo passo si dirà che la strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947 era solo una fiction televisiva. Di questo passo alla ex “triplice” resta l’organizzazione dei riti riverniciati, com’è per il (bel) concertone di Piazza San Giovanni. Finirà che la daranno in gestione, la festa del 1° Maggio. E, a prezzo stracciato, daranno in gestione anche la difesa dei lavoratori.

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