Le raccomandazioni nel pubblico impiego: una pratica illegale

Raccomandazioni nel pubblico impiegoLe raccomandazioni, ovvero le pressioni esercitate da persone influenti per favorire l’assunzione o la promozione di un candidato in un posto di lavoro pubblico, sono una pratica illegale e dannosa per il buon funzionamento della pubblica amministrazione e per il principio di meritocrazia. In questo articolo vedremo quali sono le norme che vietano le raccomandazioni, quali sono le conseguenze per chi le fa o le riceve e quali sono le possibili soluzioni per contrastare questo fenomeno.

 La normativa che vieta le raccomandazioni

La Costituzione italiana stabilisce, all’articolo 97, che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Inoltre, all’articolo 51, prevede che tutti i cittadini hanno pari accesso agli impieghi pubblici, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

Questi principi sono poi declinati in varie norme di legge che disciplinano il reclutamento e la carriera del personale pubblico. In particolare, il decreto legislativo 165/2001, che contiene le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, stabilisce che l’accesso al pubblico impiego avviene mediante concorso pubblico, basato su prove selettive che accertino le capacità e le attitudini dei candidati. Inoltre, prevede che le progressioni di carriera avvengano in base al merito, valutato secondo criteri oggettivi e trasparenti.

Il codice penale, poi, sanziona con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 516 a 10.329 euro chiunque, per procurare a sé o ad altri un vantaggio ingiusto, esercita pressioni su un pubblico ufficiale o su un incaricato di un pubblico servizio, affinché compia o ometta un atto contrario ai doveri d’ufficio (articolo 319-ter). La stessa pena si applica a chi riceve la raccomandazione, se ne trae un vantaggio e se ne è consapevole.

Le conseguenze delle raccomandazioni

Le raccomandazioni nel pubblico impiego hanno effetti negativi sia sul piano individuale che su quello collettivo. Sul piano individuale, le raccomandazioni ledono il diritto al lavoro e alla pari opportunità di chi cerca un impiego pubblico o vuole progredire nella propria carriera, basandosi sulle proprie competenze e sul proprio impegno. Inoltre, le raccomandazioni creano una situazione di dipendenza e di sottomissione tra chi le riceve e chi le fa, compromettendo l’autonomia e la responsabilità del lavoratore pubblico.

Sul piano collettivo, le raccomandazioni minano la credibilità e la legittimità della pubblica amministrazione, alimentando la sfiducia e il dissenso dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Inoltre, le raccomandazioni riducono la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, in quanto favoriscono l’ingresso e la permanenza di personale non adeguatamente qualificato e motivato, a scapito di chi invece lo è.

 Le possibili soluzioni per contrastare le raccomandazioni

Per contrastare le raccomandazioni nel pubblico impiego, occorre agire su più livelli, sia normativo che culturale. Sul piano normativo, occorre rafforzare i meccanismi di prevenzione, controllo e sanzione delle raccomandazioni, rendendo più trasparenti e verificabili le procedure di selezione e di valutazione del personale pubblico, e prevedendo sanzioni più severe per chi le fa o le riceve. Inoltre, occorre promuovere la mobilità e la rotazione del personale, per evitare la formazione di clientele e di favoritismi.

Sul piano culturale, occorre diffondere una maggiore consapevolezza e una maggiore responsabilità civica tra i cittadini e i lavoratori pubblici, per contrastare la mentalità clientelare e per valorizzare il merito e la professionalità. Inoltre, occorre incentivare la denuncia e la segnalazione delle raccomandazioni, garantendo la tutela e la protezione di chi le fa, e creando canali di comunicazione efficaci e sicuri tra i cittadini e le autorità competenti.

Le raccomandazioni nel pubblico impiego sono una piaga che affligge il nostro paese da troppo tempo, e che va combattuta con determinazione e congiuntamente da tutti gli attori coinvolti: istituzioni, cittadini, lavoratori pubblici, media, società civile. Solo così si potrà garantire una pubblica amministrazione più efficiente, più equa e più vicina ai bisogni dei cittadini.

Ironicamente, penso che le raccomandazioni sul lavoro siano una pratica molto diffusa ma anche molto discutibile. Da un lato, possono essere viste come un modo per favorire le relazioni personali e professionali, e per aiutare chi ha bisogno di una spintarella per entrare nel mondo del lavoro. Dall’altro lato, possono essere viste come una forma di ingiustizia e di discriminazione, che penalizza i meritevoli e i più qualificati, e che mina la trasparenza e la concorrenza.

In generale, possiamo dire che la raccomandazione è sempre legale negli ambienti di lavoro privato, dove il datore di lavoro è libero di scegliere i dipendenti che vuole. Nel comparto pubblico, invece, la raccomandazione è severamente vietata, perché i posti di lavoro devono essere assegnati solo tramite bandi e concorsi, come impone la Costituzione. Chi favorisce un raccomandato in un posto pubblico commette reato, e può essere accusato di abuso d’ufficio.

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