Allarme di Medici senza frontiera, il virus ebola rischia di colpire altri paesi

ebola_micrograph_0Si sta diffondendo con una rapidità e un’estensione senza precedenti e rischia di coinvolgere altri Paesi. L’epidemia di ebola che si è diffusa in Africa Occidentale si aggrava sempre di più, tanto da spingere il direttore delle operazioni di Medici senza frontiere, Bart Janssens, a lanciare, in un’intervista rilasciata a Libre belgique, un’avvertimento: “Questa epidemia è senza precedenti, assolutamente fuori controllo e la situazione non fa che peggiorare, per cui si sta nuovamente estendendo, soprattutto in Liberia e Sierra Leone, con focolai molto importanti”, ha detto. “Se la situazione non migliora abbastanza rapidamente, c’è il rischio reale di vedere nuovi Paesi colpiti”, ha ammonito, spiegando che il rischio di contagio non si può escludere, anche se è difficile da prevedere l’entità, perché un’epidemia di questo tipo non si è mai vista.  I dati relativi al virus non lasciano certo tranquilli: al momento i casi accertati sono almeno 1.201, con 672 decessi dall’inizio dell’anno in Guinea, Liberia e Sierra Leone. E ieri è deceduto il medico “eroe” della lotta al virus, il dottor Omar Khan. Il Servizio sanitario del Regno Unito raccomanda ai medici di prestare particolare attenzione a chiunque lamenti strani sintomi dopo aver viaggiato nell’Africa Occidentale. L’allarme si è diffuso dopo la morte, avvenuta venerdì scorso, di Patrick Sawyer, consulente finanziario per il ministero dell’Economia liberiano stroncato dall’ebola. L’uomo, la cui sorella è deceduta recentemente per lo stesso virus, si era imbarcato in Liberia, aveva fatto uno scalo in Ghana, aveva cambiato aereo in Togo e infine era arrivato in Nigeria. La sua storia ha fatto alzare il livello di guardia. Intanto un medico americano, Kent Brantly, si è ammalato in Liberia, dove si trovava per curare i malati di ebola e si trova in condizioni critiche. Notizie che hanno fatto scattare una serie di controlli anche negli Stati Uniti, soprattutto con controlli sui voli.  La preoccupazione per la diffusione del virus ha spinto il governo della Sierra Leone ad adottare misure per limitare il contagio: chiusi teatri, cinema e bar e rinviati a fine agosto gli esami pubblici di terza media previsti a luglio. “La tensione comincia a sentirsi anche qui a Freetown”, ha raccontato Nicola Orsini, da anni impegnato in Sierra Leone per la Ong italiana Fondazione Avsi, sull’epidemia di ebola che ha raggiunto la capitale dopo che sembrava che i contagi fossero circoscritti alle regioni orientali di Kenema e Kailahun.
Da giugno il governo e la società civile hanno rafforzato le misure di prevenzione per fermare il contagio: oltre ai checkpoint per circoscrivere l’epidemia, i centri sanitari dedicati, sono i luoghi pubblici a essere stati oggetto delle misure precauzionali più severe. Nei supermercati i gestori invitano tutti i clienti a lavarsi le mani con acqua e cloro, l’unica sostanza in grado di uccidere il virus, messa a disposizione agli ingressi. Nelle chiese, durante le messe, sempre affollate in un paese con il 15% della popolazione cristiana, non ci si stringe più la mano: lo scambio di pace è stato sostituito da un inchino con la mano destra sul cuore, e il sacerdote dà l’eucarestia nelle mani e non più direttamente in bocca. Abitudini costrette a cambiare, segnali piccoli, ma che amplificano il senso di paura tra la popolazione. In Sierra Leone rimane però la diffidenza della popolazione a farsi curare dai centri nazionali, riporta l’ong Avsi. Sono ancora in molti a evitare di prendere contatto con i medici in caso di sintomi della malattia, a fuggire dagli ospedali non appena la diagnosi è confermata, a nascondere le persone infette nelle case e nei villaggi, aumentando così il rischio di contagio e la diffusione della malattia. Inoltre, nella mentalità delle popolazioni rurali gli ospedali sono spesso percepiti come luoghi di morte e non di cura e dunque si preferisce far curare i propri cari dallo “stregone” locale. È forse a partire da queste credenze che in alcune aree si è diffusa la voce che addirittura l’ebola non esista e che sia solo un’invenzione del governo per far fuori oppositori politici e per attrarre i finanziamenti internazionali. L’Unione Europea è attrezzata per diagnosticare e curare i pazienti contagiati dal virus dell’ebola, ma la probabilità che l’epidemia che ha colpito l’africa occidentale arrivi negli stati membri è “minima”. Lo ha assicurato una fonte di Bruxelles. “Non si può escludere la possibilità che arrivi in Europa, ma l’Ue ha i mezzi per diagnosticare e contenere l’epidemia rapidamente”, ha affermato questa fonte a Bruxelles. “Un caso sospetto è stato segnalato a Valencia, in Spagna. In realtà si è rivelato negativo, ma il sistema ha funzionato. Il paziente è stato isolato e il laboratorio ha fornito rapidamente i risultati”, ha spiegato. L’Ue si è dotata di una rete di allerta e tutti gli stati hanno infrastutture specializzate per curare queste patologie.  Per quanto riguarda il rischio che alcuni malati possano arrivare in Italia, il direttore del Dipartimento malattie infettive, Gianni Rezza, dell’Istituto superiore di sanità rassicura: “Il virus ha delle modalità di diffusione molto particolari. Per infettarsi occorre entrare a contatto diretto coi fluidi di una persona malata. Le persone che hanno contratto il virus e che però non sono ancora malate, i portatori sani, non possono trasmettere l’infezione. Questi fattori fanno di Ebola un virus pericoloso per l’elevata mortalità, ma non così facilmente trasmissibile come per esempio il virus dell’influenza. Il nostro paese non ha voli diretti con quelle zone e dunque è davvero difficile che qualche pazienti arrivi fino a noi”. Anche da mare attraverso i flussi migratori “appare molto difficile che arrivino dei casi di persone infette. “Si tratta di viaggi molto lunghi durante i quali un eventuale malato avrebbe tutto il tempo di sviluppare la malattia prima di arrivare in Italia”.

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