“Ergastolo”. Nessuna sorpresa, al momento della richiesta di pena che il pm Letizia Ruggeri ha pronunciato nell’aula del tribunale di Bergamo per Massimo Bossetti, unico imputato nel processo per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio. Dopo la prima parte di requisitoria – iniziata venerdì 13 maggio e interrotta dopo sette ore dalla presidente della Corte d’Assise Antonella Bertoja – oggi il pubblico ministero che ha condotto le indagini per la Procura ha concluso la sua lunghissima ricostruzione della vicenda chiedendo il massimo della pena per l’imputato con sei mesi di isolamento diurno. E’ stato Bossetti – ritiene l’accusa – a uccidere e abbandonare in un campo, ancora agonizzante, Yara, la ginnasta 13enne scomparsa da Brembate il 26 novembre 2010 e trovata cadavere tre mesi dopo a Chignolo d’Isola. Dopo averla incontrata, non vicino alla palestra, ma in una delle strade che la ragazza percorreva per tornare a casa, a pochi passi dall’abitazione di famiglia. La pubblica accusa ha spiegato i motivi che a suo dire hanno portato il muratore, incensurato e padre di tre figli, a uccidere la ragazzina. Un omicidio commesso da un uomo che “non è in grado di reprimere i suoi istinti nei confronti delle donne, di ogni età”. Un reato che il presunto colpevole ha commesso – secondo il pm Ruggeri – con l’aggravante di aver adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà, colpendo Yara più volte con un’arma da taglio e un corpo contundente. Un omicidio aggravato anche dalla minorata difesa – un uomo contro un’adolescente – a cui si aggiunge l’accusa di calunnia (l’altro reato di cui deve rispondere Bossetti) ai danni di un ex collega sul quale il carpentiere di Mapello avrebbe cercato di indirizzare i sospetti. L’imputato “ha voluto arrecare particolare dolore e ci è riuscito con un’agonia particolarmente lunga, ha ecceduto – ha sottolineato il pm – contro la vittima cagionandole “sofferenze eccessive” fino ad arrivare “all’efferatezza”. Un uomo, Bossetti, con “una tendenza sfrenata a dire bugie”, e un delitto per cui “non c’è stato modo di poter individuare nessun tipo di movente”. Per l’accusa “non si cono elementi per dire che si conoscessero, è più plausibile che l’abbia incontrata per caso, che l’abbia in qualche modo convinta a salire sul suo mezzo” e quel che è successo dopo “è solo immaginazione”. Un’assenza di movente che per il pubblico ministero “non è un elemento di deficit per le indagini”: ha citato come esempio il delitto che vide coinvolto, nel 2002, Roberto Paribello per l’omicidio di una sconosciuta, “non mi meraviglia che non si riesca a capire cosa gli è saltato in mente quando l’ha colpita con un corpo contundente”. Due le ipotesi possibili: “o Yara è salita volontariamente” sul suo furgone “o l’ha tramortita” magari in via Morlotti senza che nessuno se ne accorgesse “e anche questo non deve sorprenderci”. A inchiodare Bossetti per il pm è la traccia mista di Dna – di Yara e dell’imputato – trovata sugli slip e i leggings della vittima. Senza quella traccia biologica, Bossetti “non lo avremmo mai trovato”, ha spiegato Ruggeri nella scorsa udienza. Dubbi sul risultato genetico? Controversie nel merito? Secondo il pubblico ministero “non è vi è modo di mettere in crisi il risultato”: Ignoto 1 è Bossetti e quelle presunte “anomalie” sul Dna mitocondriale restano sullo sfondo e “non inficiano” quella traccia principale (catalogata come 31G20, ndr) “positiva al sangue”. E ancora: Bossetti – ha sottolineato Ruggeri nella requisitoria – non ha un alibi e non ricorda cosa ha fatto quel 26 novembre 2010, “non sa spiegare perché il suo Dna si trova sugli indumenti della vittima”. Il punto focale, questo, di tutta l’indagine. Indizi emergono anche dall’analisi del cellulare di Bossetti: quel pomeriggio – il pomeriggio nel quale Yara scompare – il muratore non era al lavoro. Infine il tentativo di fuga il giorno dell’arresto: il 16 giugno 2014, secondo la pubblica accusa, Bossetti avrebbe tentato la fuga, “consapevole delle sue responsabilità”. La sentenza è attesa per metà giugno: le due prossime udienze saranno dedicate ai legali di parte civile e a quelli della difesa. Dal carcere di Bergamo, Massimo Bossetti aveva scritto una lettera – indirizzata alla madre e alla sorella e pubblicata dal settimanale “Oggi” – nella quale annunciava l’intenzione di volersi suicidare. “Mamma e Laura io so che la farò finita qui dentro, perché non posso accettare tutto quello che ho combinato a Marita (la moglie, ndr) e me lo merito davvero per quello che ho fatto”. Il riferimento è alle missive hard scritte a una detenuta e accluse agli atti del processo dal pubblico ministero. Continua Bossetti nella sua lettera: “Mi auguro solo che un giorno mi possa svegliare accanto a papà (il defunto Giovanni Bossetti, ndr) e non dover più soffrire per niente e lui mai mi abbandonerà in preda allo sconforto e disperazione”.