Occhio a Facebook

Premetto che non ho un profilo personale su facebook..

Ho 364 amici e ogni mattina quando arrivo a lavoro la prima cosa che faccio è aprire Facebook.
Scrivere un articolo sul proprio blog riguardo Facebook, condividere il link su Facebook dell’articolo scritto riguardo Facebook, creare gruppi che inizino con ‘Quelli che’ – ‘Quelli di’, non uscire di casa prima di avere aggiornato il proprio status, creare o iscriversi in un gruppo del proprio cognome, incontrare un amico dato per deceduto, farsi i fattacci dei propri amici dalla homepage di Facebook, prendere l’annuario di scuola è cercare amici ad oltranza, creare 2 account  e inviarsi una richiesta di amicizia.
Questi sono alcuni dei sintomi della Facebook – dipendenza.

Ovunque si va ormai si sente parlare di questo nuovo fenomeno. A Londra gli psicologi lanciano l’allarme Facebook. Secondo lo studioso britannico David Smallwood, il popolarissimo social newtork ha la responsabilità di aver generato una nuova patologia: friendship addiction, ovvero amico dipendenza. Una vera e propria epidemia della generazione internet. Gli utenti sono incapaci di fare a meno del sito come surrogato della propria affettività. Soggette alla sindrome sarebbero in particolar modo le donne, categoria a rischio, data la loro maggiore propensione a ricercare sempre nuove conferme alla propria autostima, che Facebook offrirebbe consentendo di accumulare centinaia di amici.

In che modo ha preso piede il fenomeno Facebook?
Il World Wide Web non è mai stata la rete di tutti per tutti, ma la rete di un’azienda che ci usa per il suo profitto.
L’ennesima volta siamo cascati nella trappola della raccolta di dati personali al limite della legalità. Dati personali preziosi, che raccolti e impacchettati valgono soldi. Gente che vende abitudini, gusti, preferenze delle persone. Cose che hanno un valore perché servono a sviluppare prodotti ritagliati ad hoc, a cui non si potrà dire di no.
Facebook razionalizza e rende estremamente veloce tutto ciò che si è sempre fatto nella rete. Ci sono però delle differenze sostanziali e diaboliche. Quello che si faceva in libertà, su Facebook si fa dentro un sistema che ha un padrone e un controllo verticistico.
Inserendo i propri dati personali, però,  si rinuncia totalmente alla privacy.
La differenza più sostanziale, però, è che il senso dello stare su Facebook diventa stare su Facebook e basta, tende a divenire una cosa sempre più fine a sé stessa. Ecco perché in un’epoca di rarefazione dei contatti sociali, stare su Facebook, solleva dalle proprie paure e dalla propria solitudine. Ricevere notifiche, nuove richieste d’amicizia divengono quasi la testimonianza della nostra esistenza.
L’ amicizia non è più un modo per scambiare informazioni e cultura con gli altri e Facebook non è comunicazione, né compagnia, è solo assenza di silenzio, assenza di solitudine. Soprattutto non è libertà, perché diviene un carcere nel quale ci chiudiamo volontariamente e supinamente.

Presto la nostra sottorete di amicizie sarà variegata in modo incredibile, fatta anche di persone che mai nella vita terrena incontreremo.
Ritorniamo su Facebook ossessivamente, vogliamo restare connessi sempre. Facebook puo’ diventare totalizzante, la nostra vita in rete diventa vita su Facebook, ovvero la nostra Internet diventa Facebook-net.

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