«È vero l’ho accostata con la macchina, abbiamo discusso e l’ho cosparsa di alcol, ma volevo solo spaventarla, non farle del male. Ero geloso, lo ammetto, a Sara però volevo bene. E poi quando ho acceso la sigaretta, c’è stata una fiammata. A quel punto che potevo fare?». È passata da poco l’una di notte di domenica scorsa, quando Vincenzo Paduano confessa il delitto. È l’evidenza dei fatti che lo inchioda, i risultati ottenuti dall’indagine della squadra mobile che non gli lasciano scampo: immagini video, testimonianze, tracciati del gps dell’auto. Non appare pentito. Per gli inquirenti, voleva quella morte e l’ha premeditata. Eppure, quando ancora non sapeva di essere con le spalle al muro, ha provato in tutti i modi a negare, a trovare una strada per discolparsi, anche attaccando: «Volete dire che sono un mostro e non me ne rendo conto? Io non lo sono. Voi mi avete intimidito, mi avete tenuto ore nella saletta, mentre un poliziotto mi mostrava le foto della mia fidanzata bruciata». Il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Maria Gabriella Fazi, che sono presenti all’interrogatorio, chiamano il poliziotto per un confronto. La versione di Paduano viene smentita. Lui smania, è nervoso, ma continua a negare. A mentire. Il verbale verrà aperto e chiuso per tre volte. La guardia giurata viene portata in Questura alle dieci del mattino e viene lasciata ad attendere in una saletta. Nel frattempo altri testimoni vengono sentiti, e la verità prende forma. Poi Paduano viene fatto entrare nell’ufficio di Luigi Silipo, capo della Mobile, e comincia la resistenza. Pm: «Parliamo dei danni che dice di aver avuto alla sua macchina». Paduano: «Ho trovato lo specchietto rotto la mattina». Pm: «Ha dei danni anche sul parafango che è pure annerito». P.: «Non so spiegarmelo». Pm: «La sua macchina è uguale a quella ripresa dal video, come lo spiega?». P.: «Non so spiegarmelo». Pm: «Ci sono due testimoni che dicono di aver visto due persone litigare». P.: «Non so dire chi fosse questa persona». Pm: «Dove si trovava all’ora dell’omicidio?». P.: «Io in quelle due ore in cui Sara è stata uccisa, ero con una prostituta». Pm: «Era un uomo o una donna?». P.: «Non lo so». Gli viene chiesto di mostrare il percorso che aveva fatto con l’auto, ed è in quel momento che il vigilantes è costretto a cedere. Nella sua macchina è montato un gps, e i tecnici della polizia hanno scaricato i percorsi che ha fatto. Nelle ore dell’omicidio era esattamente nel luogo dove è stata ritrovata la ragazza. Prova ancora a resistere, ma alla fine ammette: «Sono stato io. Però risponderò ad alcune domande e ad altre no». Pm: «racconti come è andata». E lui, impassibile: «Sono stato ad aspettare sotto casa di Alessandro (il compagno di scuola, con il quale la ragazza aveva cominciato a uscire da pochi giorni, ndr). Non so perché ci sono andato. Ci eravamo lasciati da poco, ma avevo comunque il bisogno di sentirla e di vederla. Ho aspettato che loro due si salutassero e ho anticipato Sara con la macchina. Mi sono fermato davanti a lei, ma non l’ho tamponata. È successo un casino, sono salito sulla Toyota, abbiamo cominciato a discutere, però non l’ho toccata. Ho preso la bottiglia dell’alcol e gliel’ho gettata addosso, sul viso, nell’auto, sul corpo».Sara ha provato a fuggire, i video di un locale riprendono le due figure che si muovono. Ha cercato aiuto, ma nessuno si è fermato. Troppo tardi, troppo malfamato il luogo. Vincenzo la segue. «Avevo la sigaretta accesa – dice – c’è stata una fiammata. Ho visto che bruciava, urlava. Ma a quel punto non potevo fare niente. Allora sì, è vero quello che dite…allora sono un mostro».
Il procuratore aggiunto Monteleone ha voluto mettere in evidenza una verità amara: «Se qualcuno si fosse fermato Sara sarebbe ancora viva». Almeno due gli automobilisti che hanno visto la scena e proseguito la corsa. I conducenti si sono giustificati dicendo che non avevano capito cosa stesse accadendo e avevano avuto paura.