Forse è (solo) una questione di Dna: chi gioca nella Juventus, non può conoscere la resa. E chi ha alle spalle tanti anni in bianconero, lo sa meglio di chiunque altro. Si può perdere, è la dura (e bellissima) legge dello sport, ma bisogna sempre dare il massimo, senza mai trovare inutili scuse. Lo disse capitan Buffon dopo la sconfitta di Sassuolo, decima partita di campionato: 1-0 neroverde, gol di Sansone su punizione, Chiellini espulso al 39’, e la classifica che recitava 12 punti in dieci giornate (quint’ultimo posto in classifica). La fresca finalista di Champions ridotta a recitare il ruolo di comparsa dopo le partenze di Tevez, Pirlo, Vidal e Llorente? Una stagione di transizione per consentire ai giovani appena acquistati di raggiungere la maturità senza eccessive pressioni? Nemmeno per idea. In casa Juve non funziona così. Il tempo di recuperare qualche infortunato (Marchisio e Khedira su tutti), capire che il ritorno al passato sarebbe stato un approdo sicuro (vedi difesa a tre di Contiana memoria), e di consegnare le chiavi della squadra in maniera stabile ai fuoriclasse dell’oggi e del domani (Dybala e Pogba, con quest’ultimo tornato a fare il “terzo attaccante”), e il più era già stato fatto. Poi, è cominciato l’incredibile: 25 partite e 24 vittorie. Un pareggio solo dal 28 ottobre 2015 al 24 aprile 2016. Inevitabile, quindi, l’ennesimo scudetto: il 32° per gli almanacchi, il 34° per la Juventus, il 5° consecutivo. Come nella prima metà degli anni ’30. Un dominio che si porta dietro numeri eccezionali e senza precedenti. Cinque anni di vittorie, cinque anni di record. I più importanti restano probabilmente quelli conseguiti nel primo anno di Conte (un’intera stagione, 38 partite, senza sconfitte) e nel terzo anno dell’attuale ct della nazionale (102 punti, mai accaduto prima in alcun campionato europeo a girone unico, punteggio spaventoso realizzato grazie a 19 vittorie su 19 partite in casa). A questi, va aggiunto il record di imbattibilità firmato da Buffon in questa stagione: 973’ senza subire gol (dieci giornate consecutive con la porta inviolata, con il primo gol subìto arrivato su rigore all’undicesima partita del girone di ritorno). Incredibili anche le 33 vittorie ottenute in una sola stagione (2013/14), i 49 risultati utili consecutivi (dall’ultima partita di Delneri alla quarantottesima di Conte) e le 25 partite consecutive in trasferta senza mai perdere (l’intero campionato, quello 2011/2012 e le prime sei della stagione 2012/13). Impietoso il raffronto con le rivali (per le rivali, ovviamente). Prendendo in esame Napoli, Roma, Inter, Milan e Lazio, il quinquennio juventino appare quasi come un errore statistico. Punti fatti: Juve 445, Napoli 354, Roma 342, Milan 317, Lazio 296, Inter 291. In 50 partite con le “big”, i bianconeri hanno totalizzato 115 punti sui 150 disponibili, con 22 partite vinte su 25 in casa (68 punti sui 75 disponibili con 55 gol fatti e 13 subìti) e 13 partite vinte su 25 in trasferta (47 punti sui 75 in palio con 34 gol fatti e 20 subìti). La conseguenza: cinque scudetti consecutivi non li ha conquistati nemmeno il Bayern Monaco in Budesliga (la striscia, però, che arriverà a quattro titoli tra pochi giorni, è aperta). La vera fortuna dei sostenitori bianconeri, comunque, al di là dei risultati ottenuti, è stata il poter ammirare ogni singola settimana campioni che, purtroppo, non nascono ogni cinque minuti. Da Del Piero (fantastico capitano fino all’ultimo giorno) a Pirlo (tre stagioni da eccezionale artista, una da pittore di qualità), da Buffon (il numero uno tra i numeri uno) a Tevez e Vidal (due campioni dalla testa ai piedi), da Pogba (mai visto prima uno alto così, “fisicato” così, dotato tecnicamente così, e capace di correre 14 chilometri a partita) a Dybala (fuoriclasse nato, e tanto basta). Una citazione particolare la meritano anche Lichsteiner (impressionante per continuità di rendimento), Barzagli-Bonucci-Chiellini (si completano alla perfezione e hanno doti di applicazione fuori dal comune), Marchisio (fondamentale anche con lo sguardo) e Vucinic-Llorente (incomprensibilmente sottovalutati). Anche in Europa, pur senza centrare la vittoria, la Juve è tornata grande. Prima ancora dei risultati (una finale, un quarto di finale perso con i futuri campioni, un ottavo di finale perso con il Bayern tuttora in corsa per la vittoria, un’eliminazione “stravagante” nei gironi con cammino proseguito in Europa League fino alla semifinale), a impressionare sono state mentalità e qualità offerte. In quattro anni, contro i bianconeri sono caduti il Chelsea campione in carica, il Real Madrid, il Manchester City, e altre squadre di spessore. Hanno avuto la meglio il Barcellona al termine di 90’ tiratissimi, e l’imbattibile Bayern di Heynckes. Quest’anno il doppio confronto con i tedeschi è stato uno spot per il calcio. Al 70’ dell’andata, bavaresi avanti 2-0 a Torino dopo un lungo dominio condito da qualche episodio favorevole; poi, tra i venti minuti finali e i primi 70’ del ritorno dell’Allianz, la grande rimonta bianconera: quattro gol uno dopo l’altro, e qualificazione in tasca fino all’ultimo minuto di recupero, quando la coppia Vidal-Coman, gli ex di turno, hanno confezionato il pareggio (che poi garantirà la vittoria nei supplementari) a Guardiola. Applausi. Per tutti. Soprattutto per i vincitori. Agli sconfitti (al ritorno privi di Dybala, Marchisio e Chiellini) la convinzione di potersi prendere la rivincita in qualunque momento. Ormai, il livello più alto è stato raggiunto. La differenza, in certe partite, come sempre verrà fatta dai dettagli. Anche quelli più “insignificanti” (Evra non lo dimenticherà mai, poco ma sicuro). In questo senso, Gigi Buffon è stato chiaro: “Giocherò ancora due anni, dopo i Mondiali in Russia mi ritirerò. In questo biennio, la Juve si giocherà la Champions”. Serve tenere Pogba e Dybala, e consolidare la posizione di Massimiliano Allegri. Ha il Dna giusto. Probabilmente, lo aveva già il primo giorno di Juve.