Hotel viaggi di lusso ed ecstasy con i proventi dell’otto per mille. Ex Vescovo di Montecassino accusato di appropriazione indebita

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Ex Vescovo di Montecassino accusato di appropriazione indebitaSoldi provenienti dall’8 per mille rubati all’Abbazia di Montecassino e versati sui conti personali dall’ex vescovo della cittadina Pietro Vittorelli, per questo accusato di appropriazione indebita. Trasferimenti di denaro dai depositi dello Ior a quelli di altri istituti di credito per occultare provviste illecite per un totale di oltre 500mila euro con la complicità del fratello Massimo. Un nuovo scandalo finanziario scuote il Vaticano. La procura di Roma ricostruisce la sparizione dei fondi destinati alla beneficenza e per questo dispone il sequestro dei beni dei due indagati. Si scopre così che Massimo Vittorelli ha quattro appartamenti a Roma e a San Vittore del Lazio e due magazzini, probabilmente provento dell’attività illecita e per questo è accusato anche di riciclaggio. Ma soprattutto dall’inchiesta emerge la passione sfrenata del vescovo per la bella vita con viaggi all’estero con preferenza per il Brasile, cene in ristoranti di lusso, soggiorni da migliaia di euro a Londra e Milano. E uso di ecstasy, tanto da essere segnalato al prefetto nel 2010. Sono le indagini affidate al Nucleo valutario della Guardia di Finanza a scoprire il percorso dei soldi dopo una serie di segnalazioni sospette provenienti dagli istituti di credito. E accertano come la prima movimentazione risalga addirittura al 27 novembre 2008 quando vengono prelevati «dal conto Ior 16427-003 intestato all’Abbazia 141mila euro». Accade di nuovo 5 anni dopo, il 12 marzo 2013, ma questa volta il prelevamento è in contanti: 202mila euro. Passano due mesi e c’è un ulteriore trasferimento di denaro in due tranches dal conto corrente 1035923 intestato alla diocesi di Montecassino al conto di Vittorelli aperto presso la filiale di zona del Monte dei Paschi dal quale vengono poi prelevati. Sono complessivamente 202mila e 500 euro. A scorrere la lista dei vari trasferimenti sembra evidente la volontà di svuotare la cassa della Diocesi. Il primo giugno 2013 il vescovo effettua infatti un nuovo prelevamento in contanti di 44mila 500 euro mentre pochi giorni dopo versa su un conto di Banca Sella, cointestato con il fratello, 164mila 900 euro. E lo fa, come sottolinea il giudice Virna Passamonti nel decreto di sequestro, «con l’aggravante di aver abusato del proprio ufficio e di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante entità sottraendo ingenti risorse finanziarie al loro impiego fisiologico di aiuto e l’assistenza ai bisognosi e realizzazione di opere e attività caritatevoli» . Comprava case il prelato, ma soprattutto si divertiva. L’elenco delle spese come emergono dalle carte di credito dimostrano che in un mese riusciva a spendere oltre 34mila euro. Andava a Rio de Janeiro, nel Regno Unito. Per un soggiorno in un hotel di Londra aveva speso 7mila euro, 2mila al Principe di Savoia di Milano. E poi cene nella capitale inglese da 700 euro, nottate trascorse con ostriche e champagne anche per soddisfare i desideri dei suoi amici. L’analisi dei documenti contabili non è ancora terminata, così come l’individuazione dei beneficiari. Anche perché bisogna stabilire se anche altri possano aver contributo al reimpiego dei fondi sottratti alla Santa Sede . Il prelato prendeva il denaro e poi lo affidava al fratello che – quando si trattava di contanti – «lo occultava all’interno della cassetta di sicurezza 236 aperta presso la filiale di Roma della Deutsche Bank». Gli specialisti guidati dal generale Giuseppe Bottillo sono riusciti a individuare tutti i metodi utilizzati per il reimpiego dei fondi e per questo è scattata l’accusa di riciclaggio nei confronti di Massimo Vittorelli. L’uomo seguiva un metodo tipico di chi vuole occultare la provenienza dei beni sfruttando pure il conto che aveva insieme alla moglie. «L’indagato – scrive il giudice – investiva 500mila euro nel conto deposito “Semprepiù” mediante cinque depositi vincolati a sei mesi del valore di centomila euro ciascuno e il 6 giugno 2014 lo riaccreditava su un conto acceso presso la Banca popolare di Vicenza per poi ulteriormente trasferire (con tre bonifici) 200mila euro sul deposito che aveva cointestato insieme al fratello vescovo». Scrive il giudice: «La sequenza delle operazioni fa risultare inequivoco l’intento di celare il tracciato delle somme prelevate dai conti dell’Abbazia e della Diocesi. L’esame dei flussi finanziari documenta in modo diretto la predisposizione di accurati sistemi operativi», anche perché non veniva specificata la causale dei prelevamenti. Soltanto in seguito si è scoperto a che cosa servivano realmente

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