Silvana Pampanini, 90 anni, è morta dopo un lungo ricovero al Policlinico Gemelli di Roma, dove due mesi fa era stata sottoposta a un complesso intervento chirurgico addominale. Dopo un’iniziale ripresa, tanto da far pensare a un ritorno a casa, sono insorte complicanze che ne hanno interrotto il recupero. I funerali si svolgeranno venerdì 8 gennaio ore 11 presso la Parrocchia Santa Croce in Via Guido Reni 2 Roma. A dare la notizia è l’amico e manager dell’attrice Alessandro Lo Cascio. La notizia delle sue precarie condizioni di salute era stata diffusa lo scorso 25 ottobre dalla presentatrice Barbara D’Urso durante la trasmissione Pomeriggio 5. Paolo Limiti era intervenuto telefonicamente per annunciare che la Pampanini “era al corrente di tutto quello che le stava succedendo”. Nata a Roma il 25 settembre 1925, cresciuta in una famiglia veneta trapiantata da tre generazioni nella Capitale, nipote della celebre cantante lirica Rosetta Pampanini, si è diplomata all’istituto magistrale e al conservatorio musicale di Santa Cecilia. La passione per la musica è l’eredità che le lascia la zia Rosetta. Studentessa 21enne, viene iscritta dalla sua maestra di canto, senza esserne a conoscenza, all’edizione del concorso di Miss Italia del 1946. Non vincerà, poiché la vittoria andrà a Rossana Martini, ma saranno le proteste del pubblico a trasformare il primo posto della Martini in un ex aequo con la Pampanini. La sua fortuna comincia da qui: sarà infatti proprio il concorso di bellezza più famoso della Penisola a lanciarla nel mondo del cinema: decisa inizialmente a intraprendere la carriera di cantante, la Pampanini inizia come interprete di pellicole musicali. È proprio cantando che ottiene una popolarità crescente, finendo sui settimanali illustrati e i cinegiornali all’epoca vendutissimi. Il padre, contrario alla carriera della figlia come attrice, lasciò successivamente il proprio lavoro e diventanto suo agente.
Nella prima metà degli anni Cinquanta è lei il volto dell’Italia che rinasce dopo la Guerra: più provocante di Sophia Loren e Gina Lollobrigida, il primo passo nel cinema avviene nel lungometraggio Il segreto di Don Giovanni di Camillo Mastrocinque, nel 1947. Diventa anche il simbolo della bellezza italica più rappresentativo nel mondo, accanto a Lucia Bosè e Silvana Mangano. Grazie all’ottima preparazione musicale, nel decennio che va dal 1947 al 1957 registra anche dei dischi, interpretando brani incisi su 78 e 45 giri. A quel punto le proposte sono numerose: tutti la vogliono, Finisce sul set di commedie come 47 morto che parla (di Carlo Ludovico Bragaglia, 1950) o Bellezze in bicicletta (di Carlo Campogalliani, 1951), dimostrando di riuscire a recitare non solo ruoli della donna fatale ma anche calarsi in personaggi più impegnativi, recitando in storie drammatiche come Processo alla città di Luigi Zampa (1952) e Un marito per Anna Zaccheo di Giuseppe De Santis (1953). Spezza il cuore a molti illustri uomini: la cronaca rosa racconta di flirt con principi e re, da quello afgano Ahmad Shah Khan a Faruq I d’Egitto, fino a colossi del cinema mondiale come Tyrone Power, Omar Sharif e Orson Welles. Persino Totò pare avesse scritto la celebre Malafemmena per lei, oltre che per la prima moglie Diana Rogliani, in procinto di lasciarlo per sposare un altro. L’unica certezza – lei smentì sempre tutto, parlando di un unico amore, un uomo più vecchio di lei e mai identificato – è che Antonio de Curtis la chiese in moglie incassando un “ti amo come amerei un padre”. Lo stesso che provava per l’inseparabile padre-manager che, da sempre gelosissimo della figlia, la “scortava”, nel fiore degli anni, per le strade di Cinecittà. In Francia la Pampanini è conosciuta con lo pseudonimo di Ninì Pampan: molti locali parigini, colpiti dalla popolarità dell’attrice sinonimo di sensualità ed avvenenza, vengono così ribattezzati in suo onore; in Giappone l’imperatore Hiro Hito, per riuscire a vederla da vicino, è addirittura pronto a infrangere le regole del più rigido cerimoniale. Sul grande schermo, la bellezza della Pampanini fa altrettante vittime: la vita di stimati e integerrimi magistrati viene stravolta dall’amore per lei (La presidentessa di Pietro Germi del 1953) e, sempre in onore della sua avvenenza, riceve indulgenza da un altro giudice, Peppino De Filippo, in un altro titolo dello stesso anno, Un giorno in pretura di Steno. Amante dello sport (in Bellezze in biciclette era agile quasi come Fausto Coppi), nel 1955 fa girare la testa anche a Paolo Stoppa e al notoriamente diffidente Alberto Sordi (La bella di Roma di Luigi Comencini). Nel 1958 diventa regista: realizza un cortometraggio dedicato alla passione che non l’ha mai abbandonata, quella per la musica: si intitola Melodie a Sant’Agata ed è un omaggio a Giuseppe Verdi. Dagli anni Sessanta dirada la sua attività cinematografica. Nel 1964 Dino Risi la dirige ne Il gaucho, il film che chiude, di fatto, la sua carriera al cinema. Due anni dopo, con vent’anni di carriera alle spalle, si ritira per dedicarsi alla cura dei genitori anziani. Sul set tornerà soltanto nel 1971 per un episodio del programma televisivoMazzabubù… Quante corna stanno quaggiù? e nel 1983, per un’apparizione nel ruolo di se stessa ne Il tassinaro (1983) di Alberto Sordi. Autrice del libro di memorie Scandalosamente perbene, nel 1998 prende parte al film televisivo di Pier Francesco Pingitore, Tre stelle.