24 anni fa il giudice Giovanni Falcone veniva ucciso dalla mafia

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strage capaciVentiquattro anni fa il terribile attentato di mafia ordito da Cosa Nostra, che portò alla morte del giudice siciliano Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Era il 23 maggio 1992, Falcone stava tornando da Roma, atterrato all’aeroporto palermitano di Punta Raisi su un jet di servizio, partito dall’aeroporto di Ciampino intorno alle 16.45, e arrivato a Palermo dopo un volo di 50 minuti. Ad attenderlo le auto della scorta: tre Fiat Croma sotto comando del capo della squadra mobile della Polizia di Stato, Arnaldo La Barbera. Il corteo di macchine stava percorrendo l’autostrada A29 in direzione Palermo, nei pressi dello svincolo di Capaci, a pochi chilometri dal capoluogo siciliano. Alle 17.58 l’inferno: una macchina si affiancò alle tre Croma blindate, diede segnalazione ai sicari e Giovanni Brusca – l’uomo prescelto da Totò Riina – azionò il telecomando del detonatore facendo esplodere cinque quintali di tritolo, posizionati in un tunnel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine. Al momento della deflagrazione Giovanni Falcone e la sua scorta si trovavano al chilometro 5 della A29. La corsia in cui viaggiavano le auto fu sventrata. A quella devastante esplosione sopravvissero solamente gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. In un clima di sgomento e terrore, i residenti della zona e gli automobilisti che si trovarono a passare di lì, ancora non capacitandosi di quanto accaduto, chiamarono i soccorsi e allertano le forze dell’ordine, ma per il giudice Falcone, la moglie e i tre agenti della scorta fu tutto inutile. Trasportato all’ospedale Civico di Palermo sotto scorta di un corteo di auto e di un elicottero dei Carabinieri, Giovanni Falcone morì un’ora dopo l’attentato, alle 19.05. Stesso truce destino toccò, poche ore dopo, alla moglie Francesca. Dilaniati dall’esplosivo e completamente irriconoscibili, i corpi dei tre agenti della scorta, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. L’Italia tutta fu colpita al cuore. E ancor oggi porta i segni di quella ferita, un dolore vivo, una cicatrice mai rimarginata. Vogliamo ricordare il 24esimo anniversario della morte di Falcone e dei suoi ‘angeli’ riportando una frase del grande e coraggioso giudice di mafia, eloquente più tante altre, oggi retoriche, parole: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.

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