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La Sacra Spina di Ascoli: fede, arte e mistero

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1. Un incontro con la leggenda
Cammino lentamente lungo la navata destra della chiesa di San Pietro Martire. La luce filtrata dagli affreschi trecenteschi danza sui pilastri, e il silenzio è rotto solo dal cuore che batte, un battito sospeso tra passato e presente. Lì, in una nicchia scolpita con devozione silenziosa, trovo la Sacra Spina: un minuscolo frammento della Corona di Cristo, avvolto da storia, mistero e arte.
In quel momento mi sembra quasi di udire la voce tenue di un anello narrativo: “E così giunse qui, dono regale e simbolo di passione…”.

2. Dalla corona di spine al racconto europeo
Immagina la scena: secoli fa, a Gerusalemme, la spina che trafisse il capo di Cristo. Da lì, il suo percorso è epico: venerata già nel V secolo, custodita a Costantinopoli, poi, nel 1239, affidata a Luigi IX di Francia. Il re la venerava, la processava a piedi nudi, come un segno di totale abbandono e devozione – quell’atto trasformò la reliquia in simbolo politico e di fede.
Moltissime spine furono donate a chiese e comunità, diventando il tessuto spirituale e materiale di un’Europa medievale costruita sulla sacralità tangibile.

3. Il viaggio della Spina verso Ascoli
Nel 1290, mentre i domenicani di Ascoli custodivano con reverenza un dente di San Domenico, si realizzò uno scambio leggendario. Il confessore del re di Francia, padre Francesco de Sarlis, propose a Filippo IV “il Bello” un baratto sacro: una spina della sacra corona in cambio della reliquia ascolana. Il Sovrano accettò. Così, la spina approdò ad Ascoli Piceno, avvolta in mistero, ma accolta con palpabile riverenza anche prima della chiesa ultimata.

4. Arte e devozione: la chiesa di San Pietro Martire
San Pietro Martire emerge possente nel cuore di Ascoli. Costruita dai domenicani dal 1280, completata nel XV secolo, è la più ampia della città: 62 metri di lunghezza per 26 di larghezza, tre navate, cinque campate.
Varco il portale laterale del 1523, progettato da Cola dell’Amatrice, mentre la facciata principale, elegante, fu rifinita nel Seicento. All’interno, tra altari barocchi, tele di Trasi e affreschi cinquecenteschi, emerge quel santuario nella sacrestia — un reliquiario che sembra custodire non solo oro e smalti, ma secoli di fede.

5. Il reliquiario di Nicola da Campli
Raggiungo la nicchia nel braccio destro dell’abside. Davanti a me, tra ombre tremolanti, splende il reliquiario: un capolavoro in argento dorato con smalti, soavi fruttati, sbalzi, custode di una spina tanto piccola quanto grandiosa per il suo significato. Opera di Nicola da Campli (inizio XV secolo), avvolge un angelo gotico parigino del XIII secolo, in una quadratura perfetta tra arte e devozione.
Lo vedo poggiato su base di legno e velluto, dietro una cancellata: ogni materiale, ogni dettaglio racconta l’ossessione medievale per il sacro tangibile.

6. Fenomeni prodigiosi e cronache popolari
L’aria si fa densa di silenzio quando penso ai racconti di miracoli: non solo arrossamenti, ma fioriture, segni che spingono il mistero oltre l’arte. A volte, quando il Venerdì Santo cadeva il 25 marzo — giorno dell’Annunciazione — la Spina pareva “fiorire” o tingersi di sangue. L’ultimo episodio raccontato risale al 1932. Anche Mons. Alfano registrò testimonianze di petali minutissimi spurti come gemme, in scritti del 1932.
I fedeli narrano processioni solenni, l’urna esposta accarezzata da tre chiavi — due in mano al municipio, la terza al rettore — in un rituale che fonde sacro e civico.

7. La festa della Sacra Spina
Oggi, ogni terza domenica di giugno, Ascoli celebra la festa della Sacra Spina: funzione religiosa, processione contenuta, comunità che si stringe attorno alla reliquia e rivive la sua storia.
Nel passato, passava lo stesso rito, ma oggi è più intimo, dolce e ancora capace di emozionare: un’intima conferma che il sacro vive nella memoria collettiva, pur nella semplicità dei giorni.

8. Le altre Spine d’Italia: un mosaico sacro
Il cammino delle Spine non si ferma ad Ascoli. In tutta Italia, reliquie simili — autentiche o da contatto — sono custodite in cattedrali, chiese, duomi: Andria, Barletta, Fermo, Cremona, Montechiaro… In totale, se ne contano centinaia, alcune testimoni di arrossamenti o fioriture come in Andria.
Ad Andria, ad esempio, quando il Venerdì Santo coincide col 25 marzo, c’è chi giura di vedere gemme o rigonfiamenti sulla spina: un mistero che si ripete, perseguita i secoli. Ecco allora che la Sacra Spina di Ascoli diventa scenario parte di un dramma liturgico e simbolico più grande, un frammento narrativo in uno scenario nazionale.

9. Tra fede e ricerca storica
Mi soffermo a riflettere: la fede narra, la storia analizza. Il reliquiario di Nicola da Campli esiste, la tradizione racconta dello scambio e dei miracoli, i documenti — da Alfano a Marcucci — ci guidano lungo cronache e dediche.
Eppure, resta il confine tra mistico e razionale: la Spina è oggetto di fede sincera, ma anche fonte preziosa per storici dell’arte, archivisti e cultori del Medioevo. Non è solo devozione: è tessuto umano, politico e artistico. È testimonianza di scambi europei, del gemellaggio tra orafi e frati, tra politica francese e devozione italiana.

10. Conclusione: fede, memoria e cultura
Esco dalla chiesa con la mente ancora immersa nel reliquiario. Rifletto: la Sacra Spina di Ascoli è molto più di un frammento di legno e oro. È un ponte tra presente e sacro passato, è arte, è memoria cittadina, è mistero autentico. La sua forza sta non nella grandezza materiale, ma nella capacità di evocare senso, radicamento, poesia sospesa.
I pellegrini di oggi possono anche scattare una foto, ma chi ascolta con spirito attento comprende che quel piccolo oggetto racconta l’impossibile: il sacro che diventa storia e la storia che diventa racconto vivo nelle luci tremule di una chiesa gotica.

Fonti

Potete ascoltare il podcast che parla di questo articolo QUI

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